Berlino - 6 agosto 1978
Alla DeutschlandHalle di Berlino nell'estate del 1978 andò in scena il match valido per il titolo mondiale dei pesi superwelter tra il campione: il tedesco Eckhard Dagge e lo sfidante: l'italiano d'Australia Rocco "Rocky" Mattioli. Il nostro Rocky era un picchiatore, un duro, si era formato pugilisticamente in Australia dove spesso i match si trasformano in bagarre, "scazzottate" terribili, sul modello centro-sudamericano. Ma il campione era anche lui un tipetto vivace, non molto facile da lasciarsi intimidire, lui proveniva dai "street fight".
Eckhard Dagge era nato in Germania il 27 febbraio 1948, a Probsteinhagen, piccolo comune del nord della Germania, vicino Kiel. Arrivato relativamente tardi alla boxe "ufficiale", passato prima per i combattimenti clandestini nei pub e nelle taverne di Amburgo dove notato da qualcuno, vicino alla boxe fu deciso a convogliare tutta quella ferocia e violenza in un sport nobile e vero. Dilettante d'interesse nazionale nel 1971 rappresento la Germania Ovest ai campionati europei di Madrid, finendo eliminato agli ottavi dal "cugino" della Germania Est. Manfred Wolke, poi medaglia d'argento. Non riuscì ad ottenere la convocazione per le olimpiadi di Monaco 1972 trovando la strada sbarrata sia nei superwelter che nei medi da due mostri sacri della boxe dilettantistica tedesca. Il primo Gunther Maier, bronzo quattro anni prima a Citta del Messico e fermatosi ai piedi del podio (quarti) a Monaco ed il secondo Dieter Kottysch che alla terza partecipazione olimpica vincerà addirittura l'oro nella rassegna tedesca. Ma erano già dei trentenni che non passeranno mai professionisti . Dagge con un buon record (66+ 14-) si tolse la canottiera il 2 marzo 1973 bagnò l'esordio da professionista con una vittoria per ko alla prima ripresa. Dopo una striscia vincente di 13 incontri (9 ko), di cui l'undicesima con l'americano Denny Moyer, ai punti dopo un'aspra battaglia, sui dieci round. Moyer che era stato in precedenza campione mondiale WBA dei superwelter, due anni prima aveva sfidato, a Roma, addirittura un fenomeno come Carlos Monzon che era campione mondiale dei medi WBA e WBC, finendo kot alla quinta ripresa, cosa quasi normale se si combatteva con l'argentino. E l'ultima con un altro l'americano quel Billy Backus, che era stato campione mondiale dei welter. Al dire al vero in un periodo di flessione, ma che poi si riprenderà fino a guadagnarsi una nuova sfida mondiale, con Pipino Cuevas (vedi post precedente). Questa due vittorie "vere" appena un anno e mezzo dopo il suo passaggio nei pro gli diedero il lustro per guadagnarsi la possibilità di combattere per il titolo di campione europeo superwelter, affrontando a Berlino il detentore, lo spagnolo Jose Manuel Duran, ottimo pugile di 31 anni che anche se proveniva da una terra mai troppo generosa con il pugilato, aveva un record importante di 52+ 2-. Era un ostacolo difficile per Dagge, che non riuscì a superare, perdendo prima del limite, kot all'undicesima ripresa. Con la mancata conquista dell'europeo se ne andò anche l'imbattibilità. Il tedesco volò negli Stati Uniti per affinare le lagune tecniche messe a nudo nel match con lo spagnolo e per un periodo si allenò con Eddie Futch, allenatore molto famoso all'epoca. Sotto le sue cure erano passati pugili formidabili del calibro di Joe Frazier e Ken Norton e tanti altri. A cavallo tra il '75 e il '76 tornò saltuariamente in Germania, per degli incontri e sostenne altri tre match vincendone due e perdendone uno, e nove mesi dopo dall'incontro europeo, la cura Futch fece i suoi effetti ed il 24 giugno 1975 si prese la rivincita sul forte spagnolo, che veniva da una sconfitta ai punti nel suo primo tentativo mondiale (titolo vacante dei superwelter WBC) del 7 maggio 1975 a Montecarlo contro il fortissimo brasiliano Miguel De Oliveira e che per non rischiare di essere dichiarato decaduto dall'EBU si era affrettato a difendere il titolo europeo contro Dagge un mese e mezzo dopo. Questa volta fu' Duran a perdere per kot alla nona ripresa e a cedere al tedesco il titolo europeo dei superwelter. Lo spagnolo nonostante le due sconfitte ravvicinate non era affatto in declino, visto che un anno dopo il 18 maggio del 1976 si andrà a prendere il titolo mondiale superwelter WBA, mettendo ko a Tokyo, il pugile di casa, il campione in carica Koichi Wajima . Dagge difese una prima volta il titolo europeo il 4 novembre 1975 vincendo agevolmente per kot al settimo round contro l'austriaco Franz Csandl, che si presentava con ottime credenziali ed un record di 22+ 1-, unica sconfitta patita ai punti, nel suo primo tentativo europeo contro Josè Manuel Duran, dieci mesi prima. Dagge venne sconfitto alla seconda difesa, ai punti dal nostro Vito Antuofermo, altro incredibile personaggio del mondo della boxe, l'italiano di Brooklyn, di cui non si può non parlare in futuro. Al rientro dopo una vittoria per ko contro il maliano di passaporto francese Marcel Giordanella, arrivò addirittura la possibilità di battersi per il tiolo mondiale superwelter WBC, contro il campione, il fortissimo Elisha Obed, pugile delle Bahamas, ventiquatrenne, alla terza difesa, con un record impressionante di 63+ 1-, sconfitta patita peraltro a inizio carriera e che era considerato unanimamente il numero uno mondiale della categoria. Obed aveva attraversato l'oceano con la ferma convinzione di disporre a piacimento dello sfidante tedesco, era dato per favoritissimo, ma il 18 giugno del 1976 sempre a Berlino (Dagge sostenne tutta la sua carriera in Germania e quasi sempre combatte' a Berlino), finì, tra lo stupore e l'entusiasmo generale kot alla decima ripresa contro questo roccioso pugile che sembrava un prodotto delle acciaierie della Rhur. Tre mesi dopo, il 18 settembre 1976, la prima difesa del titolo per Dagge fu' con un pugile di grande nome internazionale, l'americano Emile Griffith , trentotto anni, che era ormai l'ombra del campionissimo che aveva infiammato le notti italiane e del mondo intero con una triplice sfida da leggenda, quasi dieci anni prima, contro il nostro immenso Nino Benvenuti. Ma quello che doveva essere poco più di un "galà" per Dagge rischiò di trasformarsi in un incubo. Faticò non poco a venirne a capo, il vecchio leone americano aveva sentito l'odore del sangue, rispondendo colpo su colpo al tedesco, di dieci anni più giovane e che alla fine la spuntò con un verdetto non unanime e mantenne la corona. Alla seconda difesa, il 15 marzo 1977, sempre nella sua Berlino, mantenne il titolo strappando un pareggio contro il forte Maurice Hope, ventisei anni, 20+ (18ko) 2- (1ko), di origine caraibica, ma di nazionalità britannica, campione europeo, che aveva strappato il titolo a Vito Antuofermo per kot 15 round, cinque mesi prima all' allora Palaeur, oggi Palalottomatica. Pareggio che non lascio non molte perplessità sull'operato dei giudici, niente di scandaloso, diciamo un po' casalinghi nel giudizio, e che permisero a Dagge di tenersi ancora il titolo e che lanciò anche le prospettive del forte pugile britannico, che picchiava come un fabbro e che scriverà un paio d'anni dopo, pagine esaltanti ma anche un po' tristi per la nostra boxe (ne parleremo in seguito). Un primo capitolo come scritto sopra l'aveva già completato: con Antuofermo. Ma Dagge era un duro e le critiche che gli erano piovute addosso dopo i match con Griffith e Hope gli rimbalzavano, ma anche il suo avversario non era da meno, il nostro Rocky che aveva attraversato le alpi per sfidarlo, cresciuto nella terra dei canguri era una "roccia".
Rocco Mattioli nasce il 20 settembre 1953 a Ripa Teatina, paese abruzzese in provincia di Chieti ma quando aveva sei anni i genitori erano migrati in Australia precisamente a Melbourne dove è cresciuto e cominciato a praticare la boxe. Il suo paese d'origine era lo stesso, dove era nato, il padre, poi emigrato negli Stati Uniti, di un grandissimo campione mondiale dei pesi massimi, una leggenda come Rocco Francis Marchegiano alias Rocky Marciano. E proprio il nome Rocco gli era stato dato in onore dell'illustre italoamericano, che ha sempre combattuto per i colori statunitensi, ma che affondava le radici nel piccolo centro abruzzese. E' quindi fu' naturale ereditare il nome di battaglia "Rocky", nome che non pesò sulle sue forti spalle e che porto con onore. Iniziò a combattere come dilettante nel 1966, a 13 anni e nel 1969 vinse il titolo statale di Victoria nei pesi welter qualificandosi per il campionato nazionale dove sempre nei welter venne sconfitto in finale. A 16 anni e mezzo il 9 marzo 1970 esordì tra i professionisti, vincendo per ko. Tre anni dopo il 17 maggio 1973 non ancora ventenne con una striscia di 22 vittorie (17ko) 2 sconfitte (0ko) conquisto il titolo australiano dei pesi welter spedendo al tappeto il campione nazionale Jeff White (26+ 8-), non un fulmine di guerra, ma più maturo, più esperto e tosto come tutti i pugili australiani, che era stato campione nazionale dei piuma e dei leggeri ma che aveva fallito due volte la salita al titolo del Commonwealth. Il match con Mattioli fu' l'ultimo della sua carriera, evidentemente i duri colpi di Rocky gli fecero capire che era il momento di dire stop con la boxe. Mattioli non difese mai il titolo abbandonandolo immediatamente e nei due anni a seguire disputò 12 incontri vincendone 11 (7ko) e nell'unica sconfitta fu' vittima della sfortuna, in vantaggio ai punti dopo un duro match con il neozelandese Alì Akafasi il titolo dell'Australasia dei pesi welter venne fermato per ferita e dichiarato sconfitto al tredicesimo round. Allora non era come oggi, che di sarebbe andati alla lettura dei cartellini dei giudici al momento dell'interruzione. Quindi con le regole di oggi Mattioli avrebbe vinto. Ma proprio nell'ultimo della striscia in questione, mise ko l'americano Billy Backus, di cui abbiamo già scritto (vedi post precedente e parte del post dedicata a Dagge). E proprio per assistere a questo match era volato dall'Italia uno dei manager più importanti del vecchio continente: Umberto Branchini, che impressionato dalle doti di questo picchiatore di origini italiane aveva deciso di ottenerne la procura, convinto che adeguatamente assistito sarebbe arrivato in breve ai massimi livelli della boxe mondiale.
E cosi Rocky Mattioli il 9 maggio 1975 non ancora ventitreenne torno in Italia, per sostenere il primo match di una nuova carriera, facendo quel percorso inverso che la sua famiglia aveva fatto 17 anni prima, in fondo anche lui in cerca di fortuna come i suoi genitori, perché in Australia era già molto conosciuto ma nel nostro paese s'ignoravano quasi completamente le sue gesta sportive. In Italia in un mese sostenne due incontri, entrambi a Milano, che furono due agevoli ko (quella di sostenere incontri a distanza ravvicinata è sempre stata una costante di Rocky Mattioli, evidentemente aveva bisogno di tenere il fisico sempre in tensione, senza prendersi periodi di pausa troppo lunghi). Tra agosto e settembre 1975 ritornò in Australia per disputare altri due match, probabilmente per onorare contratti già siglati con i vecchi manager. Vinse il primo per ko ma nel secondo ne uscì sconfitto ai punti contro l'americano Harold Weston (17+ 6-) che il record fa storcere un po' il naso ma che dopo un inizio carriera non esaltante stava incominciando a infilare una striscia di vittorie importanti che lo porteranno a battersi due volte per il titolo mondiale. Una prima volta welter WBA, marzo 1978 sconfitto per intervento medico dopo una dura battaglia, da Pipino Cuevas (vedi post precedente) e esattamente un anno dopo perse ai punti nell'altra federazione mondiale, WBC, sempre nei welter con un fuoriclasse come Wilfredo Benitez. Fu' questo con Weston l'ultimo match "australiano" nella prima parte della carriera di Rocky. Lasciatosi alle spalle la sconfitta ripartì per l'Italia, come italiano e vinse tre match (2 ko) ma fu' il pareggio che strappò nel quarto che gli diede la definitiva consacrazione, contro un vera e propria leggenda vivente della boxe italiana: Bruno Arcari. Il 3 aprile 1976, a Milano dopo dieci combatutissime riprese. Il verdetto di parità premio entrambi i pugili. Per Bruno Arcari di undici anni più vecchio, che era stato campione mondiale superleggeri WBC dal '70 al '74 (con nove difese vincenti, titolo lasciato vacante per passare nella categoria welter) fu' uno degli ultimi match di una carriera esaltante mentre per Rocky Mattioli fu' il trampolino che lo lanciò verso traguardi prestigiosi, una sorta di passaggio del testimone tra due grandi pugili italiani. Arrivarono poi sette match, tutti vinti prima del limite e che lo proiettarono a questa sfida mondiale con Eckhard Dagge.
Era ormai tutto pronto alla Deutschlandhalle di Berlino in quell'estate del 1978, il campione tedesco, più alto 1,83 (altezza notevole per la categoria), duro fighter con 20+(14ko) 3-(1ko) era pronto a domare questo torello italoaustraliano, più basso 1.69, di cinque anni più giovane, ma che aveva disputato più del doppio dei suoi incontri 47+(36ko) 4-(1ko) e che picchiava come un martello e aveva attraversato le alpi con la ferma convinzione di riportarsi in Italia quel titolo che era stato di due grandissimi connazionali: Nino Benvenuti e Sandro Mazzinghi.
Nonostante le grandi premesse non ci fu' diretta televisiva in Italia e la cosa suscitò non poche polemiche, ed è per questo, forse, che di questo match non esistono video su youtube. All'inizio avevo pensato dal desistere dal raccontare questo match, per scrivere di Rocky Mattioli, potevo declinare su qualcun altro, ma questo era diverso, c'era quel fascino dell'italiano che va' all'estero per conquistare il titolo mondiale, contro il pugile di casa. Così nella disperata ricerca nel web di un video, anche semplici highlits, mi sono imbattuto in questa cronaca tratta dal sito boxeringweb.it, e cosi ho deciso di riprodurla fedelmente tralasciando la presentazione. Buona lettura:
"Eckhard Dagge è un buon pugile, in possesso di
un sinistro davvero pericoloso, che viene da due
vittorie eclatanti contro Elisha Obed ed Emil
Griffith. Ma non possiede la grinta di Rocky. Il
6 agosto, il match mondiale si materializza senza
la presenza della tv italiana, e la cosa fa parecchio
discutere. Mattioli mette subito in mostra
un bagaglio tecnico superiore al tedesco. Si muove
magistralmente sul tronco, punzecchia Dagge
a suo piacimento, si vede che l'italiano è in gran
spolvero.
Nel secondo round Dagge "pesca" lo sfidante con un
duro montante che Rocky incassa con disinvoltura,
l'episodio instilla sicurezza nel campione che si
convince che i suoi colpi duri possono fare
breccia su Rocky.
Nella terza ripresa è sempre Mattioli a menare
la danza,e Dagge cerca con il diretto destro
di arginare l'avanzata dell'abruzzese.
E' però Mattioli che raccoglie un'ovazione sul
finire del round. Alcune schivate millimitriche
raccolgono applausi anche da parte dei tedeschi.
Nel quarto round Mattioli aumenta
il ritmo e negli occhi di Dagge s'intravede una
trepidazione allarmante. Tre colpi doppiati dello
sfidante fanno arretrare vistosamente il campione.
La quinta ripresa è quella decisiva. Mattioli inizia
il round in modo forsennato e Dagge va in difficolta
I colpi arrivano e non li vede come all'inizio.
Soprattutto non vede una combinazione sinistro-destro
che si abbatte sulla sua mascella come un ciclone e
lo stende al tappeto. Il famoso arbitro californiano
Richard Steele inizia il conteggio lentamente,
ma Dagge non ha più risorse. Tenta di rialzarsi ma
non ce la fa...è ko. Rocky Mattioli è il nuovo
campione del mondo WBC dei superwelter, ed il
6 agosto 1977 diventa una data da non dimenticare
per il pugilato italiano."
Che spettacolo, poche pennellate bastano a definire un quadro d'autore. sembra di essere alla Deutschlandhalle di Berlino, tensione che si taglia con il coltello, si percepisce l'adrenalina, l'attesa spasmodica, urla d'incitamento, trepidazione, suona il gong del primo round, silenzio, il rumore secco del guantone che colpisce l'avversario, il boato del pubblico, che spettacolo. Solo chi ha vissuto la boxe così, può capire, che quando non c'era la diretta televisiva di un incontro e non si poteva, poi, ricorrere a youtube, come oggi, c'erano solo queste cronache a raccontarci come era andato veramente l'incontro. Grandi professionisti che ci permettevano d'immaginare di vivere il match in maniera esaustiva e completa. .
Per Echard Dagge fu' l'inizio della fine della sua vita da pugile professionista. Torno dopo appena quattro mesi, forse anche con la ferma convinzione che il match con Rocky era stato un incidente di percorso e di tornare in breve a battersi ad alti livelli. Vinse in maniera promettente per ko e si ripete' con altre due vittorie nella primavera del 1978 (un ko), ma evidentemente cominciò a prendere consapevolezza che il meglio era ormai sfuggito via. Dagge era allora in Germania, un personaggio, ricco e molto stimato e così dopo l'incontro del 6 maggio 1978 decise di ritirarsi dalla boxe professionistica.
Ma tre anni dopo, in preda a gravissimi problemi economici, dovette rivedere la sua decisione e reinfilarsi di nuovo tra le corde del ring (la storia di molti pugili purtroppo). Sostenne quattro incontri nel 1981, vincendo i primi tre (uno per ko) ma uscendo sconfitto per kot alla seconda ripresa, nell'ultimo contro il ventenne britannico Brian Anderson (20+ 2-), buon pugile dalla buona carriera, ma che non andrà oltre il titolo del Commonwealth e che uscirà sempre sconfitto dal confronto con i migliori pugili britannici della categoria. E' con questa sconfitta si chiude definitivamente la storia pugilistica di Eckhard Dagge. Certo fu' un campione ma non certamente un campionissimo, non ci sarà mai per lui un posto nella hall of fame, ma fu' sempre il primo tedesco a conquistare un titolo mondiale dopo una leggenda come Max Schmeling e stiamo parlando di più di quarant'anni prima. In un periodo dove la boxe professionistica in Germania non era così popolare come lo è oggi, si riteneva troppo cruenta e violenta al cospetto della purezza di quella dilettantistica, era in qualche modo latente l'influenza della confinante sorella Germania Est ed aveva anche forte presa sull'opinione pubblica la linea di pensiero perbenista del nord nei paesi scandinavi, da sempre esempio di pura democrazia, dove in Danimarca la situazione era la stessa che in Germania ma in Svezia ad esempio era addirittura proibita in assoluto. In pugili professionisti non erano molti. Spesso i migliori dilettanti, anche se importanti prospetti decidevano di restarlo a vita "accontentandosi" di partecipare alle olimpiadi, ai mondiali, agli europei ecc.ecc. Ma era un atteggiamento di facciata perché la boxe era sempre piaciuta ai tedeschi ecco spiegati i pienoni ai match di Dagge. Il seme per germogliare aveva solo bisogno delle giuste condizioni atmosferiche. Ma poi il mondo cambiò, le due Germanie si riunificarono e la boxe professionistica fu' "moralmente sdoganata" e di campioni mondiali ne arrivarono molti altri ed Eckhard Dagge può essere considerato a pieno titolo come il loro apripista. Per il nostro Rocky fu' l'apoteosi, aveva preso il cuore di tutti gli italiani, era l'unico campione mondiale in carica di quel periodo, uno degli sportivi in assoluto più amati.
Ma si sa le vita è fatta di alti e bassi, si sale e si scende e anche per il nostro Rocky arriverà purtroppo il momento della discesa......ma ne scriveremo in seguito.
APPENDICE - Spulciando il record di Elisha Obed su boxrec mi sono imbattuto in una storia incredibile, degna di essere raccontata in un film, nota come: "Il mistero Kid Carew" . Già di per se la storia pugilistica di Obed è parecchio affascinante. Nato a Nassau (Bahamas) il 21 febbraio 1952, battezzato come Everett Osvald Ferguson, ma ricordato con il nome di battaglia Elisha Obed. A dodici anni iniziò a combattere come dilettante e dopo una striscia di 46 vittorie consecutive (14ko), a quindici anni debuttò come professionista: il 15 settembre 1967. Certo le vittorie da dilettante erano tutti match disputati alle Bahamas, non certamente match olimpici, mondiali... ma sicuramente combattuti con pugili più grandi di età e più esperti, specie all'inizio. Sapientemente amministrato la sua carriera proseguì spedìta come un missile, sempre con match organizzati alle Bahamas, dove i suoi avversari cadevano inesorabilmente sotto i suoi colpi e dove era presto divenuto un grande orgoglio nazionale. Cominciò anche ad affacciarsi negli Stati Uniti dove il 21 gennaio 1975, a Miami, conquistò il titolo NABF (North American Boxe Federation) spedendo ko il canadese Fernand Marcotte, buon pugile con un record di 33+ (21ko) 3- (1ko). Altre sei vittorie, tutte per ko nel 1975 lo proiettarono al titolo mondiale WBC dei superwelter. A Parigi il 13 novembre 1975 mise ko il campione in carica, il brasiliano Miguel De Oliveira 43+ (28ko) 1- (0ko) e a 23 anni salì in cima mondo. Obed allora aveva grandissima considerazione, si immaginava per lui un futuro da superstar. E aveva un record assoluto, unico nella storia della boxe: era l'unico pugile mai sconfitto nella sua carriera, dilettanti compreso e poco importava se nel suo record da pro c'erano due pareggi, non aveva mai perso, punto. E su questa storia il suo entourage alimentava ed elogiava tutte le doti del loro fortissimo amministrato. Ma era tutto troppo bello per essere vero. Ed è qui che entra in ballo il mistero Kid Carew. Infatti un vecchio ritaglio di un giornale sportivo di otto anni prima, un po' ingiallito, ma ancora abbastanza nitido, era arrivato nelle mani di un giornalista. L'articolo in questione era in realtà' una foto. Una foto che immortalava un pugile a terra nel momento in cui l'arbitro interrompeva il match decretando il ko. E a corollario una didascalia, ancora abbastanza leggibile che citava: il veterano Carew sconfigge per ko alla seconda ripresa il giovanissimo Obed. Apriti cielo, non c'era l'informazione globale di oggi, ma ben presto il ritaglio arrivò nelle mani di tutte le redazioni sportive americane. All'inizio il clan Obed, negò appellandosi all'omonimia, e continuò a negare anche quando gli si faceva notare la "sospetta" somiglianza del loro assistito con quella del pugile a terra. E continuarono a negare, il loro pugile, il loro campione era imbattuto e non aveva mai perso in vita sua. Ma ormai i segugi erano stati sguinzagliati, cominciarono a spuntare i testimoni. Infatti chiunque gravitasse nel mondo della boxe alle Bahamas in quel periodo sapeva benissimo della sconfitta di Obed ma taceva per rispetto di quell'illustre connazionale che così in alto stava portando il nome dell'arcipelago caraibico. Ma si sa davanti all'offerta di qualche centinaio di dollari "l'interesse nazionale" passa in secondo piano e la lingua si scioglie più facilmente, i fondo si raccontava la verità. E quando il numero di testimoni pronto a giurare su quella sconfitta per ko crebbe, alla fine arrivò la confessione: quel pugile che era andato ko al secondo round contro lo sconosciuto Kid Carew era l'attuale campione mondiale WBC dei superwelter Elisha Obed. Cosa era successo, quando la carriera da predestinato di Obed, aveva cominciato a prendere quella forma sperata, macinando vittorie, Elisha era pronto alla conquista dell'America. E quell'unica sconfitta, patita anni prima, ad inizio carriera, bruciava, andando ad intaccare l'imbattibilità, che se si considera il periodo da dilettante era addirittura assoluta. Così quell'unica sconfitta che aveva sempre figurato nel record di Elisha, sparì magicamente, grazie a qualche dirigente della boxe bahamense diciamo cosi "accomodante". E da imbattuto Obed arrivò a combattere negli Sati Uniti, arrivando poi al titolo mondiale. Ma chi era quel pugile sconosciuto che aveva messo ko il campione mondiale: Kid Carew era nato a Nassau, quindi concittadino di Obed, l'ultimo giorno del 1926. A quasi ventidue anni non aveva mai messo piede in una palestra in vita sua, faceva il marinaio civile, imbarcato a contratto nei pescherecci bahamensi. Nel 1948 si trovava a Port-of-Spain (Trinidae & Tobago) ed era andato a vedere una riunione di pugilato, quando lo speaker dell'evento tra lo stupore generale annunciò se ci fosse qualcuno tra il pubblico, disposto a sostituire un pugile assente all'ultimo momento per un incontro sulle quattro riprese, promettendo una buona offerta di denaro. Tra il silenzio generale, si trattava di combattere con un professionista, non un campione ma sempre un professionista, Kid allettato dalla possibilità d'intascare qualche dollaro non si preoccupo troppo delle possibili conseguenze (facile immaginarlo come un giovanotto facilmente incline a menare le mani con chiunque), si alzò e si offrì. Velocemente si recò negli spogliatoi, indossò pantaloncini e guantoni e quando arrivò il suo turno salì sul ring e in breve mise ko l'avversario, vincendo alla prima ripresa. Nel dopo match fecero gara ad offrirgli da bere e tutti, compreso il suo sventurato oppositore, gli consigliarono di fare il pugile. Lui accettò questo prezioso consiglio, ma lo fece a modo suo. Infatti lo fece come un secondo lavoro, continuando a fare il marittimo, qualche apparizione in palestra, appena gli era possibile, per imparare i rudimenti e per i diciannove anni successivi combatte' in giro per i Caraibi: Cuba, Trindad, St.Kitts, Haiti e naturalmente Bahamas, ovunque ci fosse la possibilità di guadagnare qualche soldo, così tanto per arrotondare. Match ufficiali (probabilmente anche qualcuno non), di cui si sono persi le tracce e non figurano nel suo record. E con questo spirito che l'11 dicembre 1967 a venti giorni dal suo quarantunesimo compleanno, era salito sul ring del Boxing Stadium di Nassau per affrontare questo ragazzino di quindici anni, di cui si parlava un gran bene, con un seguito da superstar, ma che aveva spedito ko al secondo round dopo averlo atterato già una volta nello stessa ripresa. Non poteva immaginare che quel ragazzino sarebbe diventato anni dopo campione mondiale. Intascato i soldi della borsa sparì di nuovo in mare.
E non lo saprà mai.....
Infatti Kid Carew, morì dopo pochi mesi da quell'incontro, per le conseguenze di un'esplosione a bordo della nave dove era imbarcato nei primi mesi del 1968. Per questo non si era presentato a reclamare la sua fetta di gloria quando il suo nome era diventato improvvisamente famoso.
E' la prima volta che mi capita di leggere di un match prima presente e poi magicamente sparito dal record di un pugile. A volte è successo d'incontri sfortunati come quello di Mattioli con Ali Akafasi, interrotti per intervento medico per via di una ferita pericolosa, trasformati in maniera "benevola", (magari per non sporcare il record di qualche pugile emergente) in no-contest.
Ad un fatto analogo, non riuscito per la verità, mi capitò di assistere personalmente in Italia precisamente a Milano, quando Vincenzo Edward Pazienza al secolo Vinny Pazienza, nato a Cranston (Rhode Island) il 16 dicembre 1962 ma di chiarissime origine italiane, con un record di 13+ (11ko) era stato convinto a combattere in Italia, con la speranza di ripetere le operazioni vincenti di Mattioli e Antuofermo. Le cose cominciarono bene e al primo incontro mise kot alla terza ripresa, a Riva del Garda, il 17 novembre 1984, Bruno Simili, che era stato un discreto pugile, e aveva in precedenza fallito due volte la conquista del titolo italiano, la prima contro Patrizio Oliva!!!! (e dico il nostro grande Patrizio Oliva, non uno qualunque, di cui non si può non scrivere in futuro) e la seconda con il forte Giuseppe Martinese (che in precedenza era stato campione europeo). Bruno Simili, a dire il vero, era in quel momento della carriera in una fase di forte ribasso. Ma quindici giorni dopo avvenne il fattaccio. Infatti il primo dicembre 1984 al Palasport di Milano, contro il marocchino di nazionalità francese Abdelkader Marbi 14+ (6ko) 3- (2ko), Pazienza stava facendo un match nel suo stile, infatti con Vinny "Pazmaniac" non ci annoiava mai e con l'avversario che si stava dimostrando un buon pugile, più ostico del previsto, perfettamente a suo agio nello stile rissaiolo imposto dal "nostro" Vinny e che rispondeva colpo su colpo. Durante il terzo round, Marbi che aveva l'abitudine pericolosa di andare avanti con la testa colpì duro con la fronte, in maniera sospetta Pazienza aprendogli un ampio taglio sul sopracciglio sinistro. L'arbitro interruppe immediatamente l'incontro richiedendo l'intervento del medico, che in questa prima chiamata diede il via libera a Vinny e giudicò involontaria la testata non ammonendo neanche il franco-marocchino. Pazienza a quel punto impaurito dall'ipotesi di arresto del combattimento e quindi dichiarato sconfitto, aumentò notevolmente il ritmo chiuse bene la terza ripresa e si aggiudicò nettamente la quarta colpendo duro il suo avversario. Nell'intervallo il grande Lou Duva, allenatore e manager di Pazienza, cosi come aveva fatto alla fine della terza cercava disperatamente di risistemare al meglio la ferita che perdeva copiosamente sangue. La quinta ripresa iniziò come era finita quella precedente con Pazienza che caricava come un toro e con Marbi che cercava di rispondere al meglio colpo su colpo ma che veniva di nuovo colpito duro e accusava notevolmente. Sembrava che da un momento all'altro potesse arrivare il colpo decisivo da parte di Pazienza quando a metà ripresa arrivò prima l'arbitro che invitò di nuovo il medico a salire sul ring che questa volta non pote' esimersi dal fermare il match. Per Vinny si erano materializzati i suoi incubi peggiori. Si scateno l'inferno. Pazienza dopo aver fatto due-tre giri del ring per la disperazione inveendo contro il mondo intero, si lanciò contro il medico, dapprima spiegando in maniera animosa le sue ragioni a che solo il tempestivo intervento di Duva, a trattenere lo scatenato assistito evitò l'imminente passaggio a vie di fatto. E stessa cosa voleva fare il padre di Vinny, assistente all'angolo del figlio, anch'esso trattenuto a malapena da un altro uomo d'angolo di Pazienza perchè voleva aggredire a sua volta il medico, che appena possibile sgattaiolo fuori dal ring visibilmente spaventato da questi due pazzi scatenati. Non c'era modo di far tornare la calma sul ring neanche dopo l'intervento della sicurezza. Duva uomo di grande esperienza cercava di far ragionare Vinny che era una belva, ma che stava rischiando se non si fosse in qualche modo calmato non solo di perdere l'imbattibilità ma di compromettere per sempre la sua carriera. Tentò la via della diplomazia suggerendo la squalifica di Marbi per testata volontaria, ma non si poteva punire il franco-marocchino per un fatto avvenuto due round prima e giudicato in quel momento fortuito. Invocò allora il no-contest e quindi annullamento del match, per comportamento antisportivo dell'avversario, neanche lui ci stava a veder sporcare il record di Vinny. Ma era una concessione impossibile per lo stesso motivo soprascritto. Allora il regolamento non permetteva la lettura dei cartellini come oggi, che sarebbe stato un paracadute fantastico in questa situazione. Per un momento non si capì più nulla, ci furono frenetiche consultazioni al tavolo della giuria, sembrava che la vecchia volpe di Duva l'avesse spuntata, si vociferava che i giudici erano favorevoli al no-contest e questo aveva calmato per un attimo i due scatenati italoamericani. Ma il regolamento gli legava le mani e a loro malincuore non poterono non decretare, parecchi minuti dopo l'interruzione, la vittoria per intervento medico alla quinta ripresa di Marbi, tra spaventosi boati di disapprovazione e fischi assordanti del pubblico presente al palasport di Milano che in blocco si era schierato per Vinny. Si riaccese il parapiglia e Pazienza e suo padre furono allontanati a fatica dal ring. Se ne andarono sbattendo la porta e se ne tornarono in America. Pazienza non diventò mai italiano e continuò a combattere per i colori degli Stati Uniti. E se non ci fosse messa la sfortuna e quel carattere bollente, l'operazione anche in questo caso sarebbe stata vincente perché anche Vinny Pazienza diventerà in futuro campione mondiale. Consiglio di vedere su youtube sia l'incontro con Bruno Simili che quello con Marbi e di fermarsi qui per il momento perché in futuro non si può non tornare a scrivere di Pazmaniac.......
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